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Immagine del redattoreStaff UIS JP

Le trasferte di lavoro

La diffusione del COVID-19 ha posto, oltre ai gravissimi problemi di gestione dell’emergenza che i nostri servizi sanitari stanno fronteggiando, anche delle non trascurabili problematiche sul piano della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo ed inevitabilmente nella gestione delle relazioni aziendali.


Le trasferte di lavoro


Con trasferta si intende il trasferimento e il soggiorno temporaneo del lavoratore verso una località diversa da quella usuale. In altre parole, si tratta di un mutamento temporaneo del luogo di esecuzione della prestazione. Da un punto di vista economico, le ore di lavoro sono regolate in modo diverso rispetto alle ore lavorative svolte nella sede abituale. Il lavoratore in trasferta ha diritto ad un rimborso.


Il protocollo


In accordo con il Governo, il 6 aprile 2021, è stato sottoscritto il Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro, che aggiorna e rinnova i precedenti accordi.

In merito alle trasferte nazionali ed internazionali, è opportuno che il datore di lavoro, in collaborazione con il medico competente e il responsabile sicurezza prevenzione e protezione, tenga conto del contesto associato alle diverse tipologie di trasferta previste, anche in riferimento all’andamento epidemiologico delle sedi di destinazione.

Il lavoro agile e da remoto continua ad essere favorito, anche nella fase di progressiva ripresa delle attività, in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione, ferma la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause).


Il consenso del lavoratore


Il lavoratore è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dal datore di lavoro e dai collaboratori da cui gerarchicamente dipende. In virtù di questo principio generale l’azienda può ordinare al dipendente di andare in trasferta anche senza il suo consenso. Ma durante una crisi pandemica come quella attuale, ovvero in altri frangenti connotati da significativo rischio ambientale tale da mettere in pericolo la salute e la sicurezza del lavoratore, la trasferta può essere legittimamente rifiutata per contrarietà alle norme imperative poste a tutela delle condizioni di lavoro?

Essendo il lavoratore tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dal datore di lavoro e dai collaboratori da cui gerarchicamente dipende (art. 2104 c.c.), per ordinare la trasferta e pretenderne l’effettuazione, il suo consenso, anche informale, risulta del tutto irrilevante (Cass. Civ, sez. lav., 15 ottobre 2015, n. 20833) e ciò nemmeno, come invece avviene in caso di trasferimento, nei confronti di persone in condizioni di disabilità e dei familiari che li assistono (art. 35, commi 5 e 6, l. n. 104/1992) o in conseguenza, a fronte dello spostamento del luogo di lavoro.

Il potere direttivo del datore di lavoro di inviare il lavoratore in trasferta prescinde, dunque, dall’espressa disponibilità da parte di quest’ultimo, e dal fatto che, nel luogo di assegnazione, il lavoratore svolga mansioni identiche a quelle espletate presso l’abituale sede di lavoro.

Pertanto, ferme restando le disposizioni dei contratti collettivi, che sovente fanno salvi i motivati e comprovati impedimenti adducibili dal lavoratore quale giustificazione per sottrarsi al dovere di prestare la propria opera in trasferta, non sussistono limiti generali al potere datoriale di ordinarla, se non quello, ex art. 41 Cost., di rispettarne la libertà e la dignità, con ciò derivando che il rifiuto di darvi attuazione, costituendo violazione dell’obbligo di conformazione alle disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro (art. 2104, comma 2, c.c.), configura un atto di insubordinazione e come tale espone il prestatore alla contestazione disciplinare e all’irrogazione perfino della sanzione del licenziamento.


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