La normativa riguardante i dottori di ricerca è in continuo aggiornamento: molte sono le battaglie sulla retribuzione, sui diritti riguardanti malattia, maternità, rimborso trasferte ecc.
Ma, si hanno le idee chiare su cos’è un dottorato di ricerca?
Dottorato di ricerca
L’ADI (Associazione Dottorandi Italiani) definisce bene cos’è e le peculiarità di un Dottorato di Ricerca.
Il dottorato di ricerca è un corso universitario di terzo livello, il cui scopo è formare una figura in grado di acquisire gli strumenti umani, scientifici e metodologici per diventare ricercatore. In questo periodo di formazione, il dottorando è seguito da un docente tutor che lo guida nelle attività formative e di ricerca.
I corsi di dottorato sono solitamente strutturati in due parti:
Una parte del dottorato dà la possibilità di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze seguendo corsi e seminari e partecipando a summer/winter school e a conferenze.
L’altra parte del dottorato è dedicata principalmente all’attività di ricerca, integrabile con uno o più soggiorni all’estero, per cui è prevista una maggiorazione della borsa del 50% per un periodo complessivo non superiore ai 18 mesi. Questa fase si conclude con la discussione di un elaborato finale ed il conseguimento del titolo di Dottore di Ricerca (Doctor of Philosophy, PhD).
Si accede al dottorato di ricerca tramite un concorso pubblico presso gli atenei che lo erogano, che annualmente pubblicano un bando di concorso: le prove concorsuali consistono spesso in una prima fase di valutazione dei titoli, una seconda fase costituita da una prova scritta, e una terza fase che corrisponde a un colloquio orale, in cui vengono discussi i titoli, l’eventuale prova scritta e l’eventuale progetto di ricerca che si intende svolgere.
Oltre al dottorato, per così dire, tradizionale, ci sono diversi tipi di dottorato:
Dottorato in convenzione con istituzioni estere
Dottorato in collaborazione con le imprese, dottorato industriale e apprendistato di alta formazione
Dottorati di ricerca innovativi con caratterizzazione industriale
Con il conseguimento del titolo di dottore di ricerca si raggiunge il massimo livello di istruzione riconosciuto in Italia.
Diamo un po' di numeri
Come ben si sa, non tutti i dottori di ricerca proseguono la carriera universitaria, alcuni di essi lavorano in azienda.
Il Politecnico di Milano, nel dicembre 2017, ha condotto un’indagine occupazionale che ha coinvolto più dell’80% di chi ha conseguito il titolo di PhD nel 2015 e 2016, quasi seicento persone.
Ne emerge un quadro molto positivo e non scontato.
A un anno dal titolo il 94,7% è occupato: poco meno della metà dei dottori di ricerca (dato in decrescita, erano poco più di metà nell’ultima indagine) continua una professione nel settore della ricerca al Politecnico e nelle università internazionali. Il 10% circa è lavoratore autonomo. I restanti PhD lavorano in azienda e di questi il 72,3% con un contratto a tempo indeterminato (dato quest’ultimo che li porta a superare di più di venti punti il già ottimo 51% raggiunto dai laureati).
A indicare il riconoscimento da parte del mercato del lavoro lo stipendio medio, circa 2.000 euro mese, circa il 35 % in più rispetto al laureato. Il dottorato di ricerca è un chiaro investimento sul proprio futuro.
Purtroppo non molti in Italia, ma il mondo del lavoro, anche nel bel paese, sta iniziando a vedere, soprattutto in grandi realtà aziendale, nel dottorato una risorsa per portare innovazione.
Un trend ben noto nei paesi europei, dove imprese e istituzioni investono molto in questo titolo: basti pensare che alla Technical University of Munich (TUM) o alla RWTH Aachen University il numero di dottorandi è circa 6-7 volte maggiore rispetto al Politecnico, una risorsa preziosa per l'innovazione dell'impresa tedesca.
In Italia si intravedono i primi segnali di cambiamento: nell’indagine si nota il calo di coloro che escono dall’Italia per lavorare. Il 21,4% dei dottori di ricerca italiani lavora all’estero contro il 27,4% dei PhD 2013 – 2014. Stati Uniti, Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Regno Unito e Francia sono i Paesi dove la maggior parte trova impiego.
Aumentano invece i PhD stranieri che rimangono in Italia: dal 25,9% dell’indagine precedente si passa al 39,1%, segno di una crescente attrattività del nostro territorio.
Sfortunatamente, anche quest’ambito evidenzia il gender gap: come già evidenziato in un articolo precedente, nonostante siano al vertice della preparazione accademica, le dottoresse di ricerca non vedono ancora pienamente riconosciute le loro competenze. Il loro tasso di occupazione è infatti inferiore del 4,3% e la loro busta paga è più leggera del 22%.
Ma, in conclusione, possiamo dire che i PhD sono generalmente molto soddisfatti del percorso di dottorato. I risultati dell’indagine ci mostrano infatti che oltre l’86% degli occupati ha dichiarato che la formazione acquisita risulta adeguata al proprio impiego e il 74% ritiene necessario il dottorato per il tipo di lavoro che svolge.
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